PROLOGO: Interregno
L’essere in piedi in mezzo al gruppo dei Giustizieri, immobilizzati da forze mistiche più grandi di loro, aveva il corpo di un uomo, e vestiva un costume di foggia antica blu con un mantello rosso sangue. E la sua testa era un nudo cranio nelle cui orbite brillavano le luci maligne del suo spirito. Il suo nome era Thulsa Doom, Alto Sacerdote di Set. “Benvenuti nel Secondo Cielo dell’Interregno. Speravo che arrivaste, anche se non così presto. È stato divertente lasciarvi credere di potere penetrare le mie difese. Credetemi: non arriverete mai più così vicini alla verità.”
Warwear si sforzò al massimo, ma le manette di pietra non si incrinarono neppure. “Chi sei? Cosa hai a che fare con l’operazione Luna Piena?!”
In risposta, il sacerdote afferrò l’elsa della spada al suo fianco, e la sfoderò, rivelando una lama fiammeggiante di fuochi mistici. “È inutile che vi sforziate, mortali: qui, il volere di Set è supremo. Quanto alle tue domande, è altrettanto inutile rispondervi: molto presto, non vi servirà sapere la verità.”
“Set è il grande serpente!” esclamò Atena, improvvisamente ricordando le tante leggende narrate dalla sua insegnante! “Ma il suo culto si è estinto da…”
“Non si è mai estinto,” la interruppe il Sacerdote, avvicinandosi a Sabre. Il licantropo era il più agitato di tutti, si contorceva, sbavava e latrava. Più che mai sembrava una bestia rabbiosa e priva di ogni intelletto. “Si è solo…nascosto, così come i suoi antagonisti, il Popolo ed i suoi alleati… Ma non mi dilungherò oltre, il tempo dei giochi è finito.” Sollevò la spada, lentamente, lasciando che Sabre la fissasse con odio, impotente. “La tua morte non sarà vana. Da essa trarrò forza per giungere ai tuoi simili, uno dopo l’altro, fino a quando non resterà che Set trionfatore.” La spada giunse sopra il teschio. Poi, Thulsa Doom la calò in un fendente verso il cuore del lupo. “Muori!”
MARVELIT presenta
JUSTICE, INCORPORATED
Episodio 21 -
Di Valerio Pastore
Moon Bay, Nome, Alaska, Sede della Justice Incorporated
La donna di nome Angela Cleaver si mise di colpo a sedere, un velo di sudore gelido coprirle volto e schiena. Per diversi secondi rimase lì, lo sguardo fisso nel buio, le mani a stringere con forza il lenzuolo, i denti serrati con tutta la forza che aveva per soffocare il grido di terrore.
Finalmente, la fondatrice e Presidente della Justice Inc. si rilassò abbastanza da tornare a respirare normalmente. Il sonno ormai scomparso, si mise a sedere sul bordo del letto. Fece tre respiri profondi.
Avrebbe tanto voluto che fosse un incubo, lo avrebbe scacciato via a pedate.
E invece era un maledetto ricordo, un tarlo insistente e malefico che in tutti quei mesi non aveva voluto saperne di andarsene.
Angela si alzò in piedi, e si
avvicinò alla finestra panoramica, da dove osservò a lungo lo splendido cielo
cristallino e gelido dell’Alaska.
Lei rabbrividì, ma non per il freddo. Ho quasi causato la morte del gruppo. Aveva analizzato quel pensiero da mille angoli, sezionandolo ora con la paura, ora con la più fredda logica. Ma il risultato non cambiava: non aveva considerato il fattore imprevisto. Aveva commesso il peccato capitale di ogni leader: si era adagiata sulle fortune dei suoi operativi, credendo che le loro forze fossero sufficienti.
Da domani, però, le cose sarebbero cambiate. Questa certezza l’aiutò, ma non del tutto.
La spada infuocata che calava verso il cuore di Sabre. L’oscena voce trionfante di Thulsa Doom. “Dannazione!” sibilò Angela, dirigendosi verso la porta. Aveva bisogno di un caffè. E magari di una dose di quella droga, il D/K…
La cucina, come il resto della base, era dotata di ogni comodità all’ultimo grido in fatto di tecnologia. Tuttavia, niente era piacevole come osservare l’espresso bollire in una macchinetta Bialetti. Vecchia scuola, miglior sapore.
Quando il caffè fu pronto, Angela lo versò nella tazzina. Ne aveva preparato abbastanza per cinque, era meglio che fosse bastato. Stava per bere, quando qualcuno alle sue spalle disse, “Emozionata per domani?”
“Dovresti stare dormendo, Russell,” disse lei, e bevve un sorso.
L’uomo si servì una tazzina di caffè, senza zucchero. “Difficile farlo quando qualcuno se ne va in giro per casa puzzando di paura.” Si toccò il naso. “Incubi?”
“Hm-m.” Altro sorso. Angela posò la tazzina. “Sognavo cosa sarebbe successo se il Consiglio del Popolo non vi avesse tirato via da lì all’ultimo momento. E dovere restare inattivi per tutto questo tempo per non attirare l’attenzione di quello stregone non mi ha aiutato a rilassarmi…” Si voltò, e si trovò di fronte un lupo mannaro coperto da una pelliccia bruno-rossiccia e una folta criniera.
“Non devi vergognarti ad ammettere che eri più preoccupata per me che per gli altri,” disse Sabre, posandole delicatamente un dito artigliato sotto il mento. “Ogni volta che ti passo vicino il tuo corpo reagisce in un determinato modo, e sempre quando posseggo questo aspetto. Mi capita molto raramente, so capire certi messaggi. Posso pensare di essere per te qualcosa di più che il cane da guardia?”
Il volto di Angela rimase granitico. “Sei un ottimo dipendente, come gli altri.”
Il licantropo ritirò la mano, ma non smise di tenerle lo sguardo ben puntato addosso, come se lei fosse stata una succosa cerbiatta. “Dovrei licenziarmi?”
Angela sorrise come una sfinge. “Se preferisci non rivedermi mai più…”
Brontolando una risata, Sabre uscì dalla cucina. Angela trattenne un sospiro di sollievo: aveva ragione, maledizione. Per uno come lui, ogni persona era praticamente trasparente.
Ma quello che lei provava poteva
essere chiamato amore? Provò a sorseggiare quanto rimasto del caffè, ma la
tazzina era vuota. Angela fissò la macchinetta; ormai però non ne aveva più
voglia. “Dannazione a te, Russell.”
Valeva la pena attendere, pensò Sabre agitando le orecchie nell’udire la frase pronunciata da Angela.
Stava per entrare nella sua camera, quando notò il movimento dietro di lui, subito seguito dal familiare odore di “Bob, non ti facevo nottambulo.”
Robert Markley sospirò. “Difficile dormire all’idea che entro pochi giorni torneremo in attività. Cosa diavolo avrà escogitato quella donna per avere aspettato tutto questo tempo?”
I due si incamminarono lungo il corridoio. “Abbiamo almeno potuto godere di un lungo periodo di pace. Mi preoccuperò del casino quando ci assegneranno la prima missione.”
Il mutante noto altrimenti come Fusione scosse la testa. “Ma come fai ad essere così calmo? Quella specie di brutta copia di Ghost per poco non ti…”
Il licantropo ringhiò, seccato. “Ma non ci è riuscito. Gesù, ma non riuscite a pensare ad altro? Tutti rischiamo la vita in questo lavoro, no?”
“Scusa.”
“Come va tuo figlio, invece?”
“Sean? Non è felice all’idea che io torni al lavoro, naturalmente, ma almeno si è ambientato bene a Nome. Ha imparato tutto quello che c’è da sapere su Balto e vuole fare il musher all’Iditarod. E quel muso lungo, tu?”
“È Malcolm, che mi preoccupa.”
“In che senso?”
“Immagino che nulla possa farti cambiare idea, ormai,” disse Glenda Jacobs, moglie di Parnell, altrimenti noto come Warwear.
Stretti l’una fra le braccia dell’altro, sembravano il ritratto della coppia felice, se non fosse stato per le loro espressioni.
Parnell baciò la moglie delicatamente sulle labbra. “Devo tornare al lavoro, ora più che mai, amore.” Le accarezzò la pancia, il volto illuminato da una luce di affetto come solo una volta lo aveva provato. Sospirò. “Nostro figlio avrà tutto quello che gli potrò dare, non dovrà mai abbandonare la legge o fare il mercenario come me.”
Glenda ridacchiò nervosamente. “Se sarà una femmina, non dovrebbe correre un simile rischio.”
Parnell diede un bacio alla pancia della moglie. “Sentito, piccola? La mamma non sa che il mondo delle supercriminali crede moltissimo nelle pari opportunità!”
“Scemo!” Glenda gli mollò un colpo di cuscino. Poi tornò triste. “Lo sai cosa successe la prima volta. Non…”
Parnell tornò ad abbracciarla. “Una ragione per cui il CDA aumenta gli effettivi è proprio per garantire lavori a rotazione e permetterci del tempo per noi. Vedrai, sarò un padre più presente di quanto pensi. Un po’ ammaccato, di quando in quando, ma presente.”
Lei quasi gli mollò un ceffone, stavolta.. “Ma perché ti ho sposato?”
“Scusami per averti chiamato a quest’ora.”
Dall’altro lato dello schermo, Liz Allen sorrise al fratello. “Non lo avresti fatto, senza una buona ragione…”
“La verità è che sentivo il bisogno di salutarti, prima di rientrare al lavoro.”
“Oh, bene. Sempre meglio che i soldi per il piccolo Normie li porti tu piuttosto che…” per un attimo, Liz si rabbuiò.
Il suo interlocutore, Mark
Raxton, alias Molten, l’uomo dalla
pelle metallica dorata, si affrettò a dire, “Liz, mi farò in quattro per
garantirmi una quota di capitale sufficiente a rilevare
“Mark, non agitarti. Se Norman dovesse tentare qualcosa, entrambi sappiamo che posso chiamarti, e magari assumere uno dei tuoi amici. Ora va’ a dormire, ne abbiamo bisogno entrambi.”
“Buona notte, Liz.” Mark staccò la comunicazione prima che lei potesse dire altrettanto.
L’eroe fissò la propria mano sinistra. A un suo comando, la carne tremò come un gel, iniziò a fondere, per poi assumere la forma di una lunga lama. Un nuovo comando mentale, e la lama divenne un oggetto infuocato al calor bianco.
Ora, la domanda è, rifletté Molten È un peggioramento o un miglioramento? Di sicuro c’era che il medico della base aveva confermato i suoi timori: il metallo liquido che anni fa ricoprì la sua pelle trasformandolo in Molten stava progressivamente trasformando tutto il suo corpo in quella lega. Rimuovere il metallo significava ucciderlo. C’era un modo di invertire il processo?
Il medico aveva guardato Mark e aveva scosso la testa. Se non lo sapeva colui che aveva creato quella lega…
Mark osservò l’arma in cui aveva trasformato la mano, per poi farla tornare allo stato normale. La strinse a pugno. “Già, se non lo sa il legittimo proprietario…”
“Immaginavo di non poterti nascondere la mia natura,” disse l’eroe in rosso, blu e oro che rispondeva al nome di Capitan Power, mentre osservava Moon Bay dall’alto della sua posizione. I suoi occhi brillarono delle energie che lo animavano. “Di tutti, tu solo potevi vedere oltre il velo dell’illusione.” Il volto, una replica perfetta di quello del Vendicatore Wonder Man, si tenne fisso verso la luna riflessa nell’acqua limpida. “Immagino che ci sia una ragione per cui tu non mi abbia esposto, fino ad ora. Quindi, credo di doverti almeno una spiegazione.
“Sono curioso, amico mio, molto curioso. Fin dal giorno della mia nascita, ho osservato la specie umana per capire le motivazioni, l’ostinazione con la quale affronta la sua tormentata esistenza. Mio padre ad un certo punto volle provare ad essere come loro, ma nel suo animo c’era solo il desiderio di dominarli per provare loro di essere superiore a tutti gli effetti.
“Alla fine, ho scelto di entrare nelle file dei loro super eroi perché la vostra esistenza non solo vi spinge a rischiare più degli altri, ad esplorare prospettive che all’uomo comune mancano, ma anche perché tendete ad entrare in contatto con situazioni molto peculiari. E, come ho detto,” sorrise “io sono molto curioso. Lo ammetto, avrei preferito entrare in un gruppo come i Vendicatori, o combattere al fianco di divinità come Thor, ma i rischi di venire identificato erano troppo elevati. C’è troppa acrimonia fra i maggiori eroi e mio padre, la diffidenza minerebbe una eventuale collaborazione. Qui, con voi, posso provare il mio valore, e chiudere una volta per tutte i ponti con la mia eredità.” Si voltò verso il suo interlocutore, che come lui stava fermo sulla verticale della baia. “Posso contare sulla tua collaborazione?”
La nera figura di Midnight Sun annuì.
Era successo qualcosa, nell’Interregno.
Qualcosa di brutto.
Seduto nella posizione del loto, al centro del salotto del suo alloggio, l’uomo-tigre conosciuto come Man-Eater stava cercando di ritrovare quella pace interiore che la visita presso quel posto infernale aveva compromesso.
Sabre aveva dato fuori di matto quasi subito. Se Malcolm Murphy non avesse imparato a controllarsi rigidamente da tempo, avrebbe ceduto altrettanto facilmente.
Istinto animale? Bestialità assassina? Sete di sangue?
No.
Era più in profondità, come una sua seconda natura, maligna, sensibile all’oscurità. Nel mondo reale, quella specie di tumore dell’anima non aveva di che alimentarsi, ma nell’Interregno si era messo a cantare in oscena gloria. Cosa sarebbe successo se non fossero stati portati fuori da quei licantropi-stregoni?
La domanda era retorica, si rendeva conto: lo sapeva, e la cosa lo terrorizzava.
Ma cosa sono io, in nome di Dio?
In quel momento, suonò l’allarme! Dimentico
di ogni problema, Man-Eater scattò in piedi e da lì verso la porta scorrevole.
I Giustizieri al gran completo e in assetto da combattimento furono i
primi a raggiungere la sala tattica. Angela arrivò per seconda, subito seguita
da Dollar Bill (PR e Gestione Amministrativa) e Garolfo Riccardo degli Abruzzi
(Sezione Informatica e Reverse Engineering). “Rapporto!” chiese la donna, che
come gli altri era ancora in vestaglia. Bill aveva seriamente bisogno di una
sistemata, Garolfo era praticamente fresco di stireria.
L’italiano lavorò rapidamente su una tastiera olografica. “Non capisco…
L’allarme suona perché i sensori percepiscono una anomalia, ma la natura di
tale anomalia è…sconosciuta.”
“Spiegati,” disse Angela.
“C’è qualcosa di vivo, la fuori, davanti all’edificio, ma non si riesce
ad analizzarlo. E’ come guardare un’ombra indistinta. E per il sistema è
sufficiente a fare scattare l’allarme.”
“Chiunque sia, è di natura mistica,” aggiunse Sabre. “Lo avverto
distintamente.”
In quell’istante, gli occhi di Man-Eater si accesero, letteralmente,
anche se per un momento. Il suo sguardo si perse in un mondo suo. “So chi
sono.”
Tutti gli occhi si voltarono verso di lui. “Sono qui per me. Ora
ricordo. Tutto.” Murphy aveva un tono assente. Si voltò, e si diresse verso la
porta.
Molten, il più vicino a lui, gli si avvicinò e cercò di tenerlo per una
spalla. “Aspetta un momento! Non sappiamo ancora niente e*” Un solo pugno,
inferto quasi con noncuranza, lo scaraventò via contro il tavolo. Se non fosse
stato che il corpo di Mark Raxton era coperto da uno strato di solido metallo,
si sarebbe rotto la schiena. “Grandissimo figlio di un…”
“Specie sbagliata,” intervenne Sabre. Poi, alla Cleaver, “Stiamogli
dietro e decideremo il da farsi sul momento. Garolfo..?”
L’uomo annuì. “Sono ancora lì.”
“Allora andate,” disse Angela.
La porta si aprì, e Man-Eater si fermò sulla soglia. In quel momento,
si scosse dal suo torpore. “Cosa..?”
Qualunque cosa si fosse aspettato di trovarsi di fronte, non era certo
sei creature feline antropomorfe, dal pelo arancio e con indosso ampie tuniche
bianche e rosse. Anche se per il solo riflesso lunare, i loro occhi brillavano
in un modo quasi innaturale.
Alla vista di Malcolm, caddero all’unisono
in ginocchio. E con una sola, profonda e solenne voce, dissero “Ave, Tygur, Salvatore del nostro popolo!
Siamo qui per servirti in nome del nostro futuro!”
Tutto era iniziato mille anni fa, quando il mago Ebrok decise di usare le sue conoscenze per giocare con la vita e creare una
nuova forma, per poterla studiare e imparare ancora.
Nacquero così il primo maschio e la prima femmina di quello che sarebbe
stato conosciuto come il Popolo Felino. In seguito, con l’aiuto degli
extraterrestri conosciuti come i Custodi, altri maghi crearono altre creature
feline, per i più disparati scopi, dalla soddisfazione dei propri piaceri, alla
creazione di eserciti di guerrieri invincibili.
Fu un terribile sbaglio. Se la prima coppia era pura, e già affezionata
ad Ebrok ben prima di venire trasformata, questa nuova generazione nata dalla
sinistra commistione di magia e tecnologia aliena era semplicemente
incontrollabile. E prima che la loro minaccia diventasse incontenibile, tutti i
felini mutati vennero banditi nel Limbo, e ogni appunto, ogni riferimento alla loro
esistenza cancellato.
Ma Flavius ed Helen, i ‘figli’ di Ebrok, erano riusciti a nascondersi,
e tornarono a vivere insieme con il loro amico e mentore.
Questo idillio durò poco: quando un mago scoprì dell’esistenza dei due
superstiti, uccise Ebrok. E Flavius, in preda all’ira, colpì l’assassino con
una coltivazione di virus. Un virus aerobico, una variante della peste, che
sterminò ogni abitante della città di Ebrok.
Per la vergogna ed il rimorso delle loro azioni, le due creature si
nascosero fra le montagne dove, una volta trovata la cura al male da loro
causato, si riprodussero, e i loro figli ebbero altri figli, fino a che nacque
una comunità prospera. Questa comunità selezionò un campione di eccezionale
abilità e forza, la prima Tigra, che fu eletta a loro protettrice.
Nel frattempo, in virtù di uno scellerato patto stretto con i loro
carcerieri, i felini esiliati ebbero il permesso di inviare un loro campione a
loro volta nel nostro mondo perché lavorasse solo e solamente per colui che lo
avesse chiamato. Così nacque la casta dei Balkatar, gli Evocati.
Quando le due tribù feline impararono della reciproca esistenza, unirono
il sangue ed il seme dei loro campioni per ottenere il guerriero definitivo. Ma
fu un fallimento: il guerriero era troppo potente, incontrollabile, corrotto.
La sua essenza fu chiusa in un mistico recipiente, dal quale sarebbe stato
liberato solo per possedere un altro guerriero il cui spirito potesse
equilibrare la terribile potenza del suo ospite.
In tempi recenti, la tribù del mondo esterno osò compiere questo passo,
ricreando Tigra usando come ospite il corpo di Greer Nelson. Ma fu un grave
errore: la tribù osò tanto come uno scienziato farebbe un esperimento con
un’arma le cui potenzialità neanche immagina.
Tigra si rivelò subito uno spirito indipendente e selvaggio. Greer
Nelson non si sentì mai appartenente ad alcuna tribù del popolo felino, e
abbandonò coloro che doveva proteggere per militare come eroina per gli umani.
E quando lo spirito guerriero minacciò di riprendere il sopravvento, la sua
forza fu seriamente inibita. Tigra era stata addomesticata, resa inutile per la
sua gente.
Ma non per questo il popolo della Terra
Interna decise di arrendersi. Quando, prima del suo addomesticamento, durante
una loro visita al Limbo i Vendicatori della Costa Ovest portarono con sé
Tigra, Balkatar riuscì a giacere con lei. Da questa unione, nel luogo senza
tempo del Limbo, nacque una nuova generazione di combattenti. Così nacque Tygur…
“Sono…un mezzo demone..?” Murphy sentì di volere vomitare. Se non si
fosse trovato di fronte i rappresentanti viventi di quella storia, avrebbe
volentieri cullato l’illusione di essere un mutante o un gatto morso da un uomo
radioattivo…
I sei felini sedevano ad una estremità del tavolo. Tygur, insieme ai
suoi amici, all’altra, e il CDA nel mezzo come arbitri in quella partita per il
destino di colui che a dispetto di tutto consideravano un uomo libero…
“Sì. Dopo la tua nascita, tuttavia, Tigra chiese il nostro aiuto, e ti
portammo via, perché potessi crescere lontano dalle influenze oscure. Ma il
nostro lavoro riuscì solo a metà: Balkatar ci trovò e fummo quasi completamente
sterminati. Tu fuggisti, e da allora hai errato come un’anima persa, senza
ricordi, una personalità confusa e priva di identità.
“Perché vi siete fatti vivi solo ora?” chiese Angela. I suoi occhi
erano come freddi come coltelli, la sua espressione imperscrutabile.
Una femmina disse, “Avevamo perso ogni traccia di Tygur, ed eravamo
costretti a nasconderci dai nostri lontani cugini e dai loro alleati umani.
Ironicamente, è stato proprio un essere umano a dirci dove trovarti e cosa
stessi facendo. Siamo giunti per sincerarci che ci avesse detto il vero, e per
chiedere il tuo aiuto, Tygur.”
“E questo umano sarebbe..?” fece Bill, già immaginando la risposta.
L’unico cliente con una rete di informazioni così capillare con cui avessero
avuto a che fare era. Alexander Thran, padre e padrone dello Zilnawa e della
Talon Corporation…
In risposta, il felino si toccò il bracciale a forma di drago che
avvolgeva il suo polso. Mormorò una parola in una lingua sconosciuta, e gli
occhi dell’amuleto brillarono di una luce intensa.
Un attimo dopo, una specie di fantasma apparve a mezz’aria. Il fantasma
di un guscio d’uomo, figura avvizzita e curva su una poltrona, il volto sepolto
in una lunga chioma bianca, solo la luce spettrale di un occhio a mostrare
ancora una sinistra forma di vita in quello che doveva essere un morto.
“Felice di conoscerla, lady Cleaver. Io sono Victor Salisgrave,
venticinquesimo signore di Cape Cliff. E le creature con cui lei sta parlando
ricadono sotto la mia protezione.” Sembrava assurdo che simili parole potessero
provenire da qualcuno ridotto in quelle condizioni, ma nessuno della Justice
Incorporated pensò che stesse esagerando. “E salute a voi, Tygur e Sabre. È un
vero onore, per me.”
I due mannari si scambiarono una breve occhiata perplessa. “Piacere…er,
nostro,” borbottò Jack.
“Normalmente, avrei preferito organizzare questo incontro in
circostanze meno…improvvise,” disse il 19° conte di Salisgrave. “Ma è successo
un grave fatto imprevisto: Tygur è stato esposto al potere di Set. La parte magica
di lui è stata corrotta, in un quadro di instabilità emotiva e psichica
endemica.” Quei suoi occhi terribili si posarono su Tygur, e lui vi vide cose
che gelarono la sua anima. “Il potere di Set è come un veleno, agisce lento e
inesorabile. Io ho la cura, ma in cambio dovrete fare un lavoro per me.”
“E se…non accettassi?” Tygur deglutì. Sapeva, lo sapeva come era certo
che il sole sorgeva e tramontava, che qualunque patto stretto con quella…cosa
avrebbe avuto conseguenze sgradevoli!
“Dovrai morire. L’alternativa è che tu diventi sempre più un fantoccio
privo di anima, un servo di Set. E non è ammissibile che una creatura
meravigliosa come te, l’ultimo esemplare perfetto, faccia una simile, ingloriosa
fine. Allora, la tua risposta?”